Gesù e Pilato: chi ha davvero il potere?
(Giovanni 18,33-37 – Domenica di Cristo Re)
È inteso che il testo del Vangelo di Giovanni, capitolo 18, versetti 33 a 37, debba essere letto prima di ascoltare questa predicazione. Se non è ancora stato fatto, potete fare una pausa ora e tornare dopo la vostra lettura.
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«Sono nato» e «sono venuto»: queste parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni ci invitano a riflettere sulla nostra comprensione di ciò che è la potenza, una potenza che non si manifesta nel dominio, ma nel dono di sé e nell’amore. Questa giornata segna l'ultima domenica prima dell'Avvento. Tra poco chiederemo, insieme ai Magi venuti dall’Oriente a Gerusalemme: «Dov’è il re dei Giudei che è nato?» (Mt 2,1-2 TOB). Avvento vuol dire venuta. La parola Natale, che deriva dal latino ‘natalis’, relativo alla nascita, era in origine un aggettivo che descriveva il giorno della nascita di Cristo. «Sono nato» e «sono venuto».
Questa ultima domenica dell'anno liturgico si chiama anche, in alcune tradizioni, domenica di Cristo Re, eppure – diciamolo subito – questo testo non ci parla di regalità. O meglio, non ci parla della regalità come la conosciamo, la pensiamo, la fantastichiamo. Come ha scritto di recente la teologa Élisabeth Parmentier: «La vita donata [da Gesù Cristo], il suo impegno per i piccoli e la croce sbarrano per sempre la retorica della potenza.»
Dobbiamo riconoscerlo: il nostro testo non ci parla della regalità come la conosciamo, la pensiamo, la fantastichiamo. [Chiarita questa cosa, non ci impedirà comunque di domandarci stamattina se Cristo è realmente Re qui e ora. Qual è la natura di questo regno? E come la nostra comprensione di questa regalità influenza la nostra vita quotidiana come discepoli?]
Ma torniamo a ciò che si svolge davanti ai nostri occhi stamattina, nel pretorio di Pilato, come in un momento cruciale della storia della salvezza. Il giudice entra. Il caso di Gesù viene portato davanti al giudice. E Gesù dovrà rispondere delle sue azioni. Siamo nel pretorio di Pilato. Assistiamo a un processo. In greco, giudizio si dice κρίσις (krísis). È una parola molto carica teologicamente. Lo sapete, la recitiamo quando professiamo la nostra fede in Gesù Cristo: «Verrà di là a giudicare i vivi e i morti». Ecco, questa è la krisis, il giudizio κρίνω (krinō), che significa "separare", "distinguere" o "giudicare". E, nel nostro testo, c'è un atto di accusa, quello per cui Gesù sarà infine giustiziato: la sua pretesa di essere il re dei Giudei. Anche i più distratti tra noi hanno forse in mente queste quattro lettere sopra la croce, INRI, Gesù di Nazareth Re dei Giudei in latino. Non è un’invenzione artistica: è una verità presente in tutti e quattro i Vangeli.
E la giustizia imperiale non si lascia intimorire: Pilato va dritto all'accusa e alla sua domanda essenziale: «Sei tu il re dei Giudei?». Chi pone la domanda? Un re di questo mondo. Bisogna immaginare cosa voglia dire essere governatore. Lui è Roma. Lui è l'impero in Palestina. Lui è il volto dell'imperatore, l'imperatore che si fa chiamare Figlio di Dio. E i primi cristiani non si sono sbagliati proclamando che Gesù è Figlio di Dio. Vuol dire che l'imperatore non è Dio. E Gesù non ha agito diversamente invitando a rendere a Cesare ciò che è di Cesare. Cesare non è Dio. L'impero non è Dio. La pace dell'impero, la pax romana, non è la pace di Dio. E già l'interrogatorio prende una strana piega. L'imputato chiede all'uomo più potente di questa terra di Giudea, rappresentante dell'impero più potente:
«Dici questo da te, oppure altri te l'hanno detto sul mio conto?». Su cosa si fonda l'accusa e su cosa si baserà il tuo giudizio? Sul sentito dire, su voci, su qualcosa di riferito, di seconda mano? È un'opinione, una convinzione o un pensiero fondato sui fatti? Il forum, lo sapete, è la piazza pubblica, ma è anche il tribunale. Egli chiama in causa la coscienza. Contro la voce pubblica, Gesù rimanda Pilato al suo foro interiore, cioè, senza anacronismi, al suo tribunale interiore. Pilato entra nel suo pretorio. Gesù lo fa entrare nel suo pretorio interiore. E in questo foro interiore Gesù, che arriva probabilmente con le mani legate – il testo non lo dice, ma pensate oggi agli imputati che compaiono dietro box di vetro tra due agenti – ebbene, Gesù, per lo meno malconcio, chiede a quest'uomo che è il potere stesso, se anche lui non ha le mani legate. Questa è l'opinione che ti sei fatto o quella che altri vorrebbero tu sostenessi? Il Cristo va dritto al cuore del potente. E cosa gli chiede? Sei libero? Vale forse la pena ricordarlo proprio ora che la voce pubblica ritorna, che l'opinione tende a prevalere sul pensiero, dove i discorsi malevoli della piazza pretendono di diventare tribunale dentro di noi. Là dove Pilato andava dritto all'accusa, il Cristo va al cuore, quel cuore che è la sede dell'intelligenza (בלב in ebraico). Ed è da quell'uomo interiore che Pilato risponde: «Sono forse io giudeo?» Io, ἐγὼ in greco. Poi il tuo popolo e i suoi sommi sacerdoti. Di fronte a questo tribunale interiore, Pilato compie un movimento di fuga: non lo riguarda. È una questione che non riguarda lo Stato, che non riguarda Cesare, che non riguarda l'Impero. Il Pilato di Giovanni sembra aver capito bene che Gesù o i suoi seguaci non parlano di un re rivale di Cesare. Anzi, Gesù non dice di essere re. In nessun momento Gesù dice di essere re. Pilato ha capito bene che si tratta di un altro tipo di regalità che non minaccia l'impero. Allora riformula la domanda: «Che cosa hai fatto?»
Stava andando bene. Vi dico che Gesù in nessun momento dice di essere re, e poi ecco che parla della sua regalità. La mia regalità non è di questo mondo. Non solo questo, ma ha dei servitori – letteralmente persone che remano sotto di lui, termine che all'origine era sia militare che amministrativo – Meglio, questi uomini o esecutori potrebbero combattere. L'unico motivo per cui non lo fanno, è che non sono stati convocati per questo mondo. Allora, non so voi, ma è proprio complicata questa faccenda dei mondi. Cosa ci dicono la Bibbia e i teologi? Che la Creazione è buona. Che Dio ha tanto amato il mondo – il Vangelo dice proprio "il mondo", non solo la creazione – che ha dato il suo Figlio unigenito... Che siamo invitati a portare frutto – dove? In questo mondo. Che il Regno di Dio si è avvicinato – dove? In un altrove? In questo mondo! Possiamo precisare? Sì. Ai tempi di Erode, di Cesare Augusto, di Tiberio Cesare, di Pilato. Nel nostro tempo, nella nostra storia. Questo è il primo ostacolo del nostro testo. Il primo di tre. Riguarda la struttura "essere / o non essere / di questo mondo". Siamo tentati di capire che questo mondo sia cattivo. Che Dio verrà per salvare l'umanità – nel migliore dei casi – ma in nessun caso per salvare il mondo. Questo mondo sarebbe una sala d'attesa. Questa è la comprensione gnostica secondo cui questo mondo sarebbe opera di un dio cattivo. Il Cristo sarebbe un essere puramente spirituale senza legame con il mondo. Senza legame con il mondo? Il messaggio del Gesù giovanneo è tutto un altro: «Sono nato». C'è dichiarazione più bella di questa? La dichiarazione di Gesù richiama la nostra confessione di fede, quando recitiamo il Simbolo degli apostoli, e ogni volta che guardiamo verso il Natale. «È nato». E il Gesù del Vangelo di Giovanni aggiunge: «Sono venuto nel mondo per questo: per rendere testimonianza alla verità.» Lo sappiamo, la verità nel contesto biblico non è una conoscenza, non è un sapere, una materia intellettuale. È "ciò che è affidabile, su cui si può contare, a cui si può dare fiducia". Credo in Dio. Non una lista di credenze validate o meno, a cui bisogna credere pena chissà cosa. No, credo in Deum, credo in Dio. So che non verrà meno sotto di me, posso contare su di lui. La verità, "in definitiva, è la realtà di Dio". Quindi questo mondo è una posta in gioco per Dio, e Dio lo prende così sul serio da venire a vivere la condizione umana, la debolezza, l'umiliazione, l'angoscia, la morte, per questo mondo. E nasce, viene "per questo". No, il nostro mondo non è una sala d'attesa.
«Sono nato e sono venuto per rendere testimonianza alla verità»: Allora, chi è questo re che vuole rendere testimonianza alla verità? Cosa vuol dire Cristo è re? Questa festa di Cristo Re che oggi celebrano alcune chiese non è il Messia nella gloria. Potrebbe esserlo. Abbiamo testi sul Messia glorioso, ma non è proprio uno di questi che ci propone il lezionario comune delle nostre Chiese. Celebriamo dunque un accusato alla mercè della voce pubblica, alla mercè dei potenti di questo mondo. Non è esattamente il Cristo risorto ed esaltato. Come sempre, fin dall'inizio, i cristiani celebrano un Messia crocifisso, un Dio che ha assunto la vulnerabilità fino in fondo. Gesù è re in quanto è il "rivelatore" (Gv 1,18), colui che ci fa vedere questo Dio, colui che testimonia la realtà di Dio, all'opposto delle rappresentazioni che il mondo si fa di Dio, all'opposto degli déi che gli uomini si fabbricano, all'opposto dei re che il mondo reclama (1Sam 8). Possiamo dirlo altrimenti: come lettori, siamo invitati a comprendere la regalità a partire dal Figlio, "l'inviato preesistente del Padre" per l'autore di Giovanni, e non a partire da ciò che sappiamo o crediamo di sapere sulla regalità.
Cosa vediamo del Cristo Re? • Da accusato riprende la sua posizione di giudice. E come giudica? Rimanda Pilato al suo tribunale interiore, e soprattutto alla sua intelligenza; • Lo chiama alla libertà, lui, il potente. Ricorda ai potenti quanto anche loro abbiano le mani legate, e che il messaggio di un Dio liberatore è anche per loro; • È un Re che non è di questo mondo, ma che regna su questo mondo.
Qui si situa forse il secondo ostacolo del nostro testo: sarebbe quello di capire l'espressione "il regno spirituale di Cristo" come se Cristo regnasse in modo simbolico o superficiale su questo mondo. Che bisognerebbe attendere il suo ritorno per vedere la forza del suo regno. No. Quando parliamo del "regno spirituale di Cristo" diciamo proprio che ha un potere SU questo mondo. Non è possibile ridurre Gesù a un simbolo spirituale o a una forza astratta, separata da ogni manifestazione concreta nella storia e nella vita dei credenti. Questo può condurre a una fede disincarnata, separata dalle realtà del mondo. Non è affatto possibile ridurre Gesù a una forza astratta, e lo testimoniamo stamattina: il regno di Cristo ha anche delle implicazioni pratiche per il modo in cui i credenti vivono in questo mondo, operando per la giustizia, la pace e la riconciliazione qui e ora.
Allora, la difficoltà finale? «Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce». Sappiamo quindi perché il Cristo è venuto: per rendere testimonianza alla verità; e la verità significa, come ci ricorda Jean Zumstein: "Ciò che è affidabile, ciò su cui si può contare, ciò a cui si può dare fiducia". Questo mondo è buono. Il Cristo non è venuto per estrarci da esso come in un film di fantascienza. La Parola è seminata in questo mondo per portare frutto, allora ripropongo la domanda: perché il Cristo dovrebbe rifiutare che i suoi uomini vi combattano per lui? Noi che siamo i suoi, non dobbiamo agire nel mondo? Non dobbiamo portare frutto?
L'ultimo ostacolo, non sarà forse un certo volontarismo? Non sarà forse voler difendere il Cristo con la forza, con i mezzi del mondo? Non sarà forse dimenticare che Gesù ha rifiutato questa via? Che ci comanda tutto il contrario? Non sarà forse dimenticare che il Cristo regna anche su questo mondo e sulle nostre vite, che ci chiede di essere della verità? Ascoltiamo la sua voce, qui e ora.
Questa è la buona notizia che ci raggiunge, anche da questo pretorio al mattino di Pasqua, come da ogni mattino del mondo: Gesù Cristo non regna da lontano, come un re distante. È presente qui e ora, nelle nostre vite, attraverso le nostre azioni e le nostre scelte per la giustizia, l’amore e la verità. Il suo regno sta già trasformando questo mondo, e possiamo esserne parte.
Amen